Le dichiarazioni di Palamara a Le Iene

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Le dichiarazioni rilasciate da Luca Palamara alla trasmissione Mediaset “Le Iene”, andata in onda il 13 ottobre scorso, sono dirompenti.

Io mi sarei aspettato che questo fosse l’argomento di apertura di tutti i giornali e telegiornali, ma evidentemente i nostri media si sono addormentati e non hanno potuto seguire la trasmissione e il servizio realizzato da Antonino Monteleone.

Luca Palamara è stato radiato dal CSM ed è stato individuato come unico responsabile di un sistema di potere che determina le nomine in Magistratura, ma le intercettazioni chiariscono – e lo stesso Palamara conferma – che questo sistema è la prassi consolidata attraverso la quale si sono determinate tutte le nomine per le procure più importanti d’Italia.

Possibile che sia solo Palamara il colpevole?

Nell’intercettazione ambientale all’Hotel Champagne di Roma, pubblicata nella trasmissione de Le Iene, durante una cena alla quale oltre a Palamara erano presenti Luca Lotti (ex ministro e braccio destro di Matteo Renzi) e Cosimo Ferri (parlamentare di Italia Viva e a capo della corrente di Magistratura Indipendente) emerge anche un altro dato che getta un’ombra inquietante su questa vicenda.

A parlare è Luca Lotti, che riferisce di aver parlato della nomina del Procuratore Capo di Roma con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il Quirinale ha smentito il fatto, negando che il Presidente abbia parlato con Lotti di questa vicenda. Purtroppo, proprio mentre la conversazione veniva registrata, il trojan inoculato nel cellulare di Palamara ha smesso di funzionare, quindi non sapremo mai se questo colloquio sia effettivamente avvenuto e quale sia stato, eventualmente, il suo contenuto.

Alla fine, emerge il vero nodo cruciale della vicenda, del rapporto tra politica e magistratura.

Secondo Palamara, quindi, bisogna fare una seria riflessione su come questo sistema di nomine e il rapporto tra politica e magistratura abbia avuto riflessi sui processi e sulle indagini, in particolare quelle che hanno coinvolto politici importanti.

Si parla sempre di separazione delle carriere per recuperare e garantire l’indipendenza e l’imparzialità della magistratura. Cosa significa? Significa semplicemente che un magistrato che svolge funzioni di giudicante non potrà mai fare carriera assumendo il ruolo di capo di una Procura, ma soprattutto avrà un organo di controllo e disciplina diverso.

Su questo aspetto, Giovanni Falcone nel 1989 aveva le idee molto chiare:

Comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice. Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere.

Giovanni Falcone

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