Luca Palamara è stato radiato dalla magistratura a tempo di record e promette rivelazioni sul sistema delle nomine in magistratura di cui è stato a lungo protagonista. Come tante star della cronaca giudiziaria si butta in politica con i radicali.
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Luca Palamara non è più un magistrato. Il CSM, l’organo di autogoverno della Magistratura del quale Palamara è stato per anni membro, presidente dell’ANM, esponente di UNICOST e titolare di inchieste di grande impatto mediatico come “Calciopoli” e il caso “Moro“, non potrà più indossare la toga.
Una decisione ampiamente prevista che, tuttavia, riesce ancora a stupire per la rapidità con la quale è stata assunta. I maligni dicono che si è voluto evitare che Palamara iniziasse a già in questa fase a fare rivelazioni sul sistema del quale è stato a protagonista e che coinvolge un numero imponente di colleghi. Altri, ancor più maliziosi e, tra questi, lo stesso Palamara sottolinea l’imminente pensionamento di uno dei membri del collegio giudicante, Piercamillo Davigo.
Nel maggio del 2019 Luca Palamara viene messo sotto indagine per un presunto caso di corruzione e il suo telefono finisce sotto controllo: della corruzione gli inquirenti non trovano molto, ma le conversazioni spiate dal trojan inoculato nel telefonino dell’ex magistrato restituiscono una realtà sconcertante su quello che è stato poi chiamato “mercato delle nomine” e sull’uso del potere giudiziario anche per finalità politiche.
Quella su Luca Palamara è stata un’indagine lampo che ha ricevuto poco spazio sui giornali. Questo silenzio, rotto solo da qualche giornale (tra questi, La Verità di Maurizio Belpietro), probabilmente nasce anche dalle intercettazioni che hanno messo in luce come Palamara avesse frequenti contatti anche con i media. La cosa non stupisce, visto che da molti anni ormai in Italia i processi si fanno sui giornali, pieni zeppi di avvisi di garanzia e commenti di opinionisti, ma drammaticamente vuoti di sentenze di non luogo a procedere o assoluzioni.
A voler riassumere brutalmente, un titolo in prima pagina su un’indagato ha sostituito le sentenze di condanna. Con buona pace del giusto processo, della presunzione di innocenza e dell’indipendenza della Magistratura e dell’informazione.
Quello che ci si domanda è se sia sufficiente radiare Palamara per risolvere il problema. Io credo di no, anzi penso di poter dire che l’ex magistrato sia la vittima sacrificale per placare il popolo. Il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, mediaticamente scomparso dopo il caos dei mafiosi scarcerati e la vicenda della mancata nomina di Di Matteo a capo del DAP, annuncia una riforma che dovrebbe impedire questo pericoloso corto circuito tra magistratura, politica e informazione.
Mi sia permesso di avere più di qualche dubbio.
In primo luogo Palamara non agiva da solo, ma come capo di una corrente che conviveva con altre, ben più potenti, in un sistema di spartizione degli incarichi che non è stato sufficientemente indagato. E ancora: come si può pensare che sia responsabile chi promette un incarico e non anche chi lo riceve?
Ora i riflettori si sposteranno su Perugia, dove si svolgerà il processo per corruzione dal quale è scaturito anche lo scandalo delle nomine. Qualunque sia l’esito di questo processo, il timore è che la partita sul sistema delle nomine sia già chiusa e che la radiazione di Palamara sia un coperchio che è stato rimesso al suo posto.