Silvia Romano, non parliamone più.

Continuare a parlare della liberazione di Silvia Romano è un errore e questo sarà il mio ultimo post al riguardo.

Mi auguro che chi mi segue faccia altrettanto.

L’unica arma che abbiamo contro una sinistra che crea icone da brandire contro chi teme che da questa vicenda possa rafforzare il terrorismo islamico, per il quale la ragazza rappresenta uno spot pubblicitario di dimensioni planetarie, è tacere.

Il mondo libero ha perso: costretto a pagare un riscatto, ad accettare una conversione religiosa forzata e ostentata, piegato dalla violenza di Al Shabaab.

Non si parli più dei quattro milioni, non si parli più degli estremisti che potremmo aver rilasciato in cambio di Silvia.
Non si parli più del set cinematografico allestito a Ciampino da Conte e Casalino, quasi di nascosto per evitare la presenza del Ministro degli Esteri Di Maio.

Voglio dimenticare i sorrisi a favore di camera, il giubilo ipocrita dei democratici da salotto, i tweet spocchiosi degli influencer influenzati dalle veline di partito.

Oggi Aisha è a casa, la sua casa, l’Italia.

La stessa Italia per cui questa bella notizia può valere non più di un minuto di sollievo dalla grave crisi che ci affligge.

Per questo, ve lo chiedo chiedo con il cuore: non parliamone più, evitiamo di offrire il nostro risentimento e il nostro sdegno alle strumentalizzazioni di chi ha orchestrato questa immensa campagna mediatica.

Un italiano rapito è tornato a casa.
Ma non è stata una vittoria, è stata una sconfitta.

Evitiamo di trasformarla in una farsa, perché attaccando lei invece di chi ne sfrutta l’immagine sbagliamo bersaglio. Ma soprattutto potremmo creare un nuovo martire con tanto di scorta che, in men che non si dica, finirebbe in Parlamento o in qualche lussuoso attico a Central Park.

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