COLAO, RIAPERTURE E MES. Tutti i problemi di Giuseppe Conte.

Ci prepariamo ad un altro week end di passione. Dopo la Pasqua appena trascorsa, ci troveremo ad aspettare l’ennesima apparizione domenicale di Giuseppe Conte per l’ennesimo DPCM.

Già, perché da alcune ore è al lavoro la nuova task force di professori e super managers che hanno il compito di elaborare una proposta per far ripartire l’Italia dopo le chiusure imposte per fronteggiare l’epidemia di COVID-19.

Le notizie che trapelano non sono di certo confortanti: la qualità dei membri della task force non è in discussione. Ciò che difetta loro, purtroppo, è il pragmatismo di cui ci sarebbe estremo bisogno in questa fase e la presenza di numerosi accademici nel team supporta questo timore. Inoltre, questo gruppo nasce con un grave handicap che è la nomina politica dei suoi membri: questo imporrà a tutti scelte annacquate da compromessi di ogni genere.

Per altro, il fatto che l’investitura di Colao e dei suoi collaboratori sia stata in larga parte frutto di scelte del Partito Democratico, li rende malvisti da Conte e dal Movimento 5 Stelle che teme di essere sopravanzato dagli alleati nei consensi attraverso questa operazione che somiglia molto ad un commissariamento del premier.

Tra le tante indiscrezioni sulle misure che proporrà la task force a Conte, l’unica certezza è il caos che si sta generando sulle articolazioni e sulle incongruenze nelle tappe per le riaperture. Caos che, di sicuro, è il nemico più pericoloso in questa fase in cui abbiamo avuto la prova che gli unici provvedimenti efficaci contro questo virus sono quelli drastici ed ultimativi.

C’è un altro elemento che non lascia ben sperare: sembra che nelle riunioni sin qui svolte, l’oggetto principale di riflessione sia stato come garantire l’immunità ai membri della task force. Una sorta di salvacondotto per ogni responsabilità civile e penale qualora le linee indicate si rivelassero sbagliate.

Un altro elemento che turba il premier è sicuramente il fatto che rispetto alle decisioni prese dal Governo centrale, le regioni abbiano dimostrato maggiore efficienza nella gestione dell’emergenza, in particolare quelle governate dal centro destra. Questo stato di cose ha costretto Conte e il suo spin doctor Rocco Casalino a sollecitare il supporto dell’informazione main stream che sta dando grande risalto alle inchieste giudiziarie sulla sanità lombarda e piemontese, accusate di aver contribuito alla diffusione del virus. Nulla si dice della gravità della situazione in Emilia Romagna, guidata da Stefano Bonaccini del Partito Democratico.

Su questa linea è ovviamente anche “Il fatto quotidiano” che arriva oggi addirittura a chiedere il commissariamento di queste regioni, mentre nulla ha da dire sui gravissimi ritardi che hanno segnato l’attività del governo.

Emblematico è quanto afferma Paola Fioroni, Vice Presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione Umbria:

Si chiede alle Regioni di prendersi responsabilità enormi e di mettere una pezza ad ogni mancanza o previsione insufficiente.
Ma le Regioni non sono tutte uguali e c’è chi soffre un’eredità pesante economica e sanitaria, come l’Umbria, e nonostante tutto tiene botta e para ogni colpo dimostrando un grande orgoglio ed una grande capacità di reazione.

Paola Fioroni

Da ultimo c’è la partita sul MES che rischia di diventare un vero e proprio macigno su questo governo. Già in molti stanno chiedendo a gran voce che l’Italia attivi le linee di credito per sostenere la spesa sanitaria, ma restano le grandi perplessità sui rischi che questo comporta. Come ha specificato bene Matteo Salvini, le condizionalità permangono tutte e l’Italia potrebbe trovarsi nell’impossibilità di rimborsare il prestito e, quindi, a dover subire misure di austerity in stile greco.

La questione non è solo finanziaria, ma anche e soprattutto politica: da una parte il Partito Democratico, Prodi e Confindustria spingono per accedere al MES. Dall’altra il premier e tutto il Movimento 5 Stelle si oppongono con proclami roboanti. Per i grillini, che hanno ceduto su tutte le loro battaglie identitarie, cedere anche in questo caso significherebbe la probabile perdita di quel poco consenso che è rimasto loro.

Lo scontro si preannuncia epocale, nel momento più difficile per la nostra Repubblica dal Dopoguerra ad oggi.

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