I tentativi di legalizzare il commercio delle droghe leggere per contrastare la criminalità sono una sciocchezza.
L’ultimo tentativo in ordine di tempo è stato quello di infilare un codicillo nella manovra finanziaria dello sgangherato governo Conte Bis per legalizzare la vendita della cosiddetta “cannabis light”, saltato per la levata di scudi del centrodestra e per le numerose prese di posizione di chi è in prima linea da sempre nel contrasto alle tossicodipendenze.
Ad essere contestata, in particolare, è la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti che ingenera una percezione di minore pericolosità delle droghe con intensità stupefacente minore e che, tuttavia, espongono i consumatori ai medesimi rischi di assuefazione chimica e comportamentale identici a quelli delle altre droghe.
Questa distinzione ricalca quella che tanti danni ha procurato con riferimento al tabacco, dove si è accertato che le cosiddette sigarette light producevano i medesimi danni delle sigarette comuni.
Uno dei cavalli di battaglia di chi vuole la legalizzazione della droga è la teoria secondo la quale la gestione del commercio delle droghe da parte dello Stato sottrarrebbe ingenti guadagni alla criminalità organizzata.
Come spiegava già il Dott. Paolo Borsellino questa teoria è sbagliata: una gestione statale del commercio delle sostanze stupefacenti non avrebbe ricadute sul contrasto ai business della mafia, ma creerebbe solamente un doppio binario di commercializzazione. Uno legale e l’altro clandestino.